L’importanza del saluto.
Tempo fa un collega e amico mi aveva chiesto di scrivere qualcosa sull’argomento. “Ahimè”, scriveva, “nessuno lo insegna ai ragazzi, e nemmeno si salutano in gara”.
Ha esagerato, certo, perché per fortuna c’è chi lo insegna e ancora ritiene che sia importante. E poi, giova ricordarlo, il Regolamento Internazionale della FIE non solo lo prevede, ma sanziona severamente gli schermidori che rifiutano di salutare l’avversario. Quanto misero sarebbe però il valore del saluto se acconsentissimo a farlo solo se obbligati!
Non mi pare qui il caso di dimostrare il valore umano e sociale del saluto: riconoscimento, rispetto, cortesia, cultura e identità, connessione con gli altri, comunicazione e condivisione di sentimenti ed emozioni, e chi più ne ha più ne metta. Un lubrificante sociale che contribuisce al nostro e all’altrui benessere.
No, qui voglio soffermarmi sul valore del saluto nell’ambito specifico della scherma, del nostro sport. Uno sport che ha radici antiche e tradizioni invidiabili. Uno sport che ha tutto da perdere se dimentica il collegamento con la sua storia, e con quanto ci contraddistingue come schermidori.
Temo che molti sorrideranno all’idea che la scherma – uno sport di nicchia, per i suoi numeri, e spesso considerata a rischio per l’emergere di sport molto più facili da capire e da praticare – possa in qualche modo sentirsi superiore. Eppure provate a chiedere in giro, o ai nuovi arrivati, da dove hanno tratto l’ispirazione e il desiderio di prendere in mano un’arma, e cimentarsi in duelli incruenti: gli eroi dei film e dei romanzi di cappa e spada, i guerrieri antichi, la spada come simbolo di giustizia e di potere, i cavalieri senza macchia e senza paura, la lealtà, la difesa dei più deboli, e… continuate voi, se volete citare i vostri beniamini. Perché, se ci pensate un po’, ne avrete certo anche voi, forse Zorro, forse D’Artagnan, Scaramouche, Capitan Fracassa, Don Chisciotte…
Forse l’archetipo più forte, nell’immaginazione di tutti, è quello del guerriero in armatura, del cavaliere, che incontra il suo avversario e prima di affrontarlo in duello mettendo a rischio la vita, si presenta, lo saluta, solleva la celata dell’elmo, in un gesto che ancora oggi fanno i militari di ogni Paese, spesso ignorandone l’origine.
Ora, però, ripensando al collega che mi ha proposto l’argomento, vorrei tornare sulle opportunità e sui benefici dell’insegnamento del saluto, nel rapporto fra maestro e allievi.
La lezione, individuale o collettiva, dovrebbe iniziare sempre col saluto, che offre una splendida occasione per spiegare, appunto, storia e tradizione del gesto. Ricordo Renzo Nostini, a lungo presidente della Fis, che raccontava della prima lezione che aveva ricevuto da bambino, e del maestro, che dopo avergli insegnato il saluto, e avergli messo in mano il fioretto, con voce grave gli aveva detto: “Ora sei un gentiluomo, e devi comportarti di conseguenza.”
Circolano storie, sul saluto, magari non del tutto fondate, che però colpiscono l’immaginazione. Ad esempio, e questa mi pare fondata, quella del significato, nel saluto italiano, del portare il pugno armato all’altezza del viso, come a baciare la croce formata dal gavigliano – la barra trasversale tipica del fioretto italiano – con il ricasso, la parte della lama all’interno della coccia, nell’impugnatura.
Un’altra storia, che non conoscevo, riferitami dal collega, riguarda l’uso di mettere una moneta nella mano del nemico sconfitto, e stringerla a pugno: da qui, dicono alcuni, sarebbe nato l’uso di stringersi la mano come saluto. Mi convince meno, ma è un altro racconto che stimola la fantasia.
Oltre alle storie, però, l’esecuzione del saluto, e della stretta di mano finale, offre l’opportunità di correggere comportamenti inadeguati, facendone un vero strumento educativo.
La postura, la testa ben eretta, lo sguardo rivolto all’avversario e poi agli altri destinatari del saluto, un leggero accenno di sorriso: tutti elementi da far notare all’allievo, spiegandogli il significato di quanto viene trasmesso, e anche l’importanza psicologica del mostrarsi sicuro e corretto. L’assalto inizia da lì, e l’impressione che ne ricava l’avversario, e viceversa, può avere il suo peso.
E poi la stretta di mano finale, dopo l’assalto o la lezione: di nuovo, guardando negli occhi, stringendo il giusto – quante informazioni passano in quella stretta, e in quello sguardo! – con il corpo rivolto verso l’altro, in segno di rispetto, vinto o perso che sia stato l’assalto, e infine, non biascicato, ma detto con chiarezza ed intenzione: grazie!
Immaginate, infine, l’impressione dello spettatore. Un saluto formale, ben eseguito, da parte di due che si sono combattuti ferocemente, ma lealmente, fino a pochi secondi prima, accomuna il vincitore e lo sconfitto nel rispetto reciproco: e fissa nella mente di chi guarda l’immagine della scherma come vorremmo che fosse.