La maschera e la spada

a cura di Giancarlo Toràn

Maschere, e non solo scherma: a Cagliari, un po’ in presenza, e un po’ via Zoom, si è svolto il convegno di cui leggete nella locandina sottostante.

L’argomento era ben più vasto di quello esclusivamente schermistico, e si è parlato dei molti usi e significati delle maschere, sin dai tempi più antichi. Come ha anticipato il prof. Antonio Corda, che ha organizzato e fatto da moderatore, l’argomento merita una trattazione più approfondita, che forse si farà nei prossimi mesi.

Eravamo ospiti dell’Università di Cagliari, e le relazioni degli archeologi prof. Danila Artizzu, Riccardo Cicilloni e Marco Giuman ci hanno offerto un’ampia e interessantissima visuale su argomenti che coinvolgono in pieno la storia e la cultura sarda.

La concomitanza con i campionati assoluti di scherma ha fatto sì che al convegno intervenissero anche il presidente e vicepresidente della Fis, Paolo Azzi e Maurizio Randazzo, presente anche il segretario generale Marco Cannella, e il delegato regionale della Fis Sardegna, avv. Gianmarco Tavolacci: l’occasione era quella giusta per parlare delle maschere di scherma, ed è toccato nell’ordine a Roberto Gotti e a me raccontare qualcosa, nel breve tempo a disposizione, sulla storia, evoluzione e significato simbolico del nostro… copricapo.

Qui di seguito condivido le note preparate per il mio intervento, ma non del tutto espresse: il tempo è tiranno, e qualcosa resta sempre da dire…

 

LA MASCHERA E LA SPADA

Il mondo è una metafora di qualcosa? Chiede il postino Massimo Troisi al poeta Pablo Neruda, Philippe Noiret, in un film indimenticabile. Così la maschera e la spada sono una metafora, ricca e potente, della scherma e dello schermidore che la incarna. La maschera che protegge dalla spada dell’altro, per restare in superficie: ma il significato della metafora è ben più profondo, ed ha a che fare con la personalità[1] di chi indossa la maschera, che protegge ma nasconde, che racchiude e libera fantasia e potenzialità nascoste.

È di questo che vorrei parlarvi oggi, nei limiti di tempo consentiti.

Testimonianze molto datate dell’uso della maschera per la scherma vengono da pitture e sculture dell’antico Egitto. A Madinath Habu esiste un grande bassorilievo che mostra schermidori di oltre tremila anni fa, con una maschera fissata alla parrucca, mentre si scambiano bastonate sotto la sorveglianza di un arbitro e davanti alla corte del Faraone. [2]

Una competizione rituale, oggi diremmo sportiva, che ci mostra un accessorio senz’altro necessario, ma poco pratico. La protezione del guerriero imponeva elmi e maschere di metallo resistenti a colpi sferrati principalmente di taglio, con armi pesanti, lasciando libera la vista: feritoie che limitavano la visuale, e lasciavano aperta la strada a colpi di punta ben indirizzati, ma non comuni sui campi di battaglia.

Nei duelli, era tutt’altra cosa: si andava a morire o ad uccidere mostrando il volto, il petto, e il proprio orgoglio di gentiluomo. Prima di scendere sul terreno, però, si imponevano lunghi anni di pratica in sala di scherma, sotto la guida del maestro. L’incidente era sempre in agguato, e sino a tutta la prima metà del XVIII secolo le protezioni, che pure esistevano, erano non solo insufficienti, ma addirittura mal tollerate. L’Enciclopedia dell’Illuminismo di Diderot e D’Alembert riprende il celebre trattato di Angelo Malevolti (1763), e in coda all’ultima tavola mostra, fra i vari attrezzi dello schermidore, una maschera antropomorfa con due lacci per fissarla al viso.

Il passaggio alla maschera in rete metallica, come oggi la intendiamo, non fu indolore, ma avvenne in un modo abbastanza repentino. Ce lo racconta il Baron de Bazancourt nel suo “Les secrets de l’épée”, stampato nel 1862 :

In passato si faceva scherma senza mascherine. E ho letto qualche tempo fa nell’Enciclopedia, risalente alla metà del secolo scorso (1755), alla parola ‘Maschera’: “A volte abbiamo preso precauzioni fino a indossare una maschera per proteggerci dai colpi che possono essere sferrati al viso quando si pratica l’arte della scherma. È vero che chi è ancora poco esperto in quest’arte può ferire o farsi ferire dall’avversario tirando male. Tuttavia oggi non se ne fa alcun uso.”

Questa enciclopedia ovviamente riecheggiava le idee generalmente accettate a quel tempo sulla scherma. Usare una maschera davanti a un tiratore significava reputarlo ignorante, quasi offenderlo.

La scherma allora non era altro che una serie di attacchi, finte, parate e risposte calcolate e combinate in anticipo; una cosa inevitabilmente porta all’altra, e chiunque avesse osato tirare direttamente nel mezzo delle finte, invece di seguire curiosamente la spada attraverso il labirinto di tutte queste finte, sarebbe stato considerato un vergognoso ignorante e rimandato allo studio dei primi elementi.

Fu solo negli ultimi anni del famoso tiratore Chevalier de Saint-Georges che la maschera entrò in uso.

Anche in questo caso erano solo maschere di latta, e i professori consideravano tali precauzioni un bene per gli sferragliatori.

Ma accadde che tre maestri di scherma persero un occhio ciascuno. L’amore per le antiche tradizioni non arrivava a far rischiare il secondo.

Da allora in poi la maschera metallica venne generalmente adottata, ma con dolore.

Non sappiamo esattamente come e quando, ma l’invenzione della maschera moderna, in rete metallica, è generalmente attribuita al maestro Nicolas Texier La Boëssière – maestro del sunnominato famoso tiratore Chevalier de Saint-Georges – che fu al centro di una furiosa polemica scoppiata in Francia: quando Diderot e D’Alembert scelsero per l’Encyclopédie il trattato dell’italiano Angelo Malevolti, il più rappresentativo dei maestri francesi, Danet, rispose con un altro trattato, che fu aspramente contestato dagli altri colleghi francesi. Proprio La Boëssière padre si incaricò di scrivere per conto dei colleghi un libro anonimo per contestare Danet, che a sua volta rispose a stretto giro (solo un anno dopo) con un altro trattato per contestare il contestatore. Ma questa è un’altra storia intricata che ci porterebbe ad Alessandro Dumas, il padre dei tre moschettieri, e al suo maestro Grisier (allievo di La Boëssier figlio), che pure ci dice della maschera, nel suo trattato del 1864, Les Armes et le Duel, da cui è tratta l’immagine che segue: “L’invenzione della maschera e di altre protezioni, con cui si pensava di migliorare la scherma, ha prodotto un effetto contrario: la paura non esiste più, e movimenti cui non si oserebbe pensare, con il fioretto in mano, se viso e petto fossero scoperti, permettono di perseverare nell’agire male impunemente.”

Fatto sta che fu il figlio di La Boëssière, Antoine, nel suo bel trattato di scherma del 1818 (Traité de l’art des Armes ), a rivendicare al padre l’invenzione della maschera: “Prima di lui ci si serviva di maschere di latta (de fer blanc), ma la durezza del ferro era molto fastidiosa sul viso, e perciò si usava poco, e i tiratori correvano il rischio di ferirsi. I numerosi incidenti spinsero Texier de La Boëssière a ideare la maschera attuale. Ce ne sono di due tipi, con la molla e con i lacci. Io preferisco questi ultimi, perché quelle a molla presentano l’inconveniente di spostarsi più facilmente.”

Nel trattato del figlio non si dice e non si vede di più, perché le figure mostrano solo schermidori senza maschera. Altri autori successivi hanno mostrato le maschere del loro tempo. Ma quali sono le più antiche? Possiamo solo rifarci alle poche immagini che ci sono arrivate, spesso di caricaturisti dell’epoca, che non esitano, a mio avviso, a prendersi delle licenze su un argomento che a loro appariva secondario.

Forse la più antica di queste caricature appare nelle memorie del figlio di Malevolti, Henry. Risale al 1773, e ne è autore William Austin: che si spinge a modellare con tanto di nasino la rete della maschera della duchessa di Liverpool mentre tira di scherma col suo protetto, il creolo Soubise.

Poi, nel 1782, Alexandre Picard Bremond pubblica il suo trattato, e mostra in copertina, tra i consueti attrezzi da allenamento in uso, una maschera, di quelle con i lacci e, particolare interessante, i rinforzi interni circolari, che ritroviamo anche nella caricatura di Rowlandson del 1791: che mostra assalti accademici nella scuola di Angelo.

Le maschere, a quel tempo, e per molti anni a seguire, erano fatte artigianalmente, intrecciando a mano i fili di ferro, con maglie più o meno robuste, strette o sottili. Erano poi rifinite sui bordi da rivestimenti sottili in pelle, che difficilmente si conservano. Presentano quindi notevoli differenze, secondo i desideri del committente, e l’abilità dell’artigiano. Nel museo dell’Agorà della scherma della Pro Patria, a Busto Arsizio, ne abbiamo vari campioni molto ben conservati, e tante altre maschere che mostrano i progressivi perfezionamenti, e gli adattamenti anche alla scherma di sciabola, arma che richiede protezioni più robuste.

La copertina del trattato di Michele Micheli, del 1798, è forse l’ultima in cui appare una maschera con i lacci: le immagini successive[3][4] li abbandonano, e rappresentano sempre maschere con la molla dietro la testa. L’uso era diventato rapidamente generale, e le conseguenze paventate dai primi autori hanno effettivamente cambiato il modo di tirare.

Ce ne dà concreta testimonianza lo stesso Masaniello Parise, circa un secolo più tardi, quando descrive la posizione di pugno di prima[5], e dice che non si usa più: perché serviva a proteggere il viso, ora protetto dalla maschera.

Sì, ma in un duello vero?

E torniamo all’idea della maschera che protegge e nasconde, e libera potenzialità e fantasia.

Liberato dalla paura di ricevere una punta in un occhio, lo schermidore può tentare strade nuove, prima impensabili. Può correre rischi che mai correrebbe sul terreno, in uno scontro vero. Può sperimentare finte azzardate, che rivelano le reazioni che l’avversario avrebbe volentieri nascosto. La finta, che è una simulazione, è anche una metafora riassuntiva del comportamento dello schermidore: che quando si confronta con un suo pari, tecnicamente parlando, può averne ragione solo ingannandolo. E non si pensi solo all’inganno prodotto dall’arma, e dal movimento che ci porta ad avvicinarci pericolosamente all’avversario: la scherma è un gioco di intenzioni, da occultare e da scoprire. Gli occhi sono rivelatori di paure o determinazione, e la maschera aiuta a nasconderli.

Purtroppo, in questi tempi di esibizione e spettacolo, la maschera impedisce al pubblico di leggere le emozioni dello schermidore, e non per nulla si è tentato, in tempi recenti, di migliorare la situazione con maschere trasparenti: che non hanno avuto successo, per motivi tecnici, ma che potrebbero ripresentarsi in futuro, con nuovi materiali e tecnologie. Una storia destinata a continuare…

articolo di Giancarlo Toràn

[1] Maschera e persona hanno significati molto simili, o coincidenti. Per i latini “persona” era la maschera dell’attore.

[2] https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Medinet_Habu_Ramses_III._Tempelrelief_01.JPG

[3] Traité d’escrime, á pied et á cheval …, René Julien Chatelain, Magimel, Paris, 1818

[4] The broad swordsman pocket companion, Wroughton, London, 1830

[5] Trattato teorico pratico della scherma di spada e sciabola, Masaniello Parise, Tipografia Nazionale, Roma, 1884. L’immagine successiva proviene da: La scienza della scherma, Rosaroll e Grisetti, Milano, 1803

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