La spada della mente… che mente

a cura di Giancarlo Toràn

L’articolo che segue è stato pubblicato recentemente sul libro

“Spatha, spada, épée. Ideologia e prassi, a cura di Danila Artizzu, Antonio M. Corda, Michel-Yves Perrin” (Cagliari UNICApress 2024), con il patrocinio dell’Università degli Studi di Cagliari e della Fis. Un bel libro, che nasce dal convegno internazionale omonimo, e dalla mostra “Ars dimicandi. L’arte del combattere” (Cagliari 20-21 novembre 2014), che fu in seguito replicata in varie sedi. Fra queste, l’Accademia Felli di Busto Arsizio, che con l’Agorà della scherma della Pro Patria ha dato il suo contributo.

Di cosa trattano i vari interventi? Copio dal primo risvolto:

“Il volume raccoglie 19 saggi che ruotano intorno al tema della spada che viene trattato sotto innumerevoli aspetti. Si passa infatti da quelli più aderenti all’oggetto in sé che viene visto ora come arma, ora come “gioco” fino ad arrivare a significati che trascendono la funzione dell’oggetto stesso. Modi diversi e sguardi differenti per raccontare le mille “ipostasi” di un oggetto senza tempo”.

Potete leggerli tutti, e scaricare l’intero libro in formato pdf seguendo questo link:

https://doi.org/10.13125/unicapress.978-88-3312-133-8

Ricordo quella piacevole trasferta, e la mia relazione che andò un po’ oltre il tempo stabilito. Nessuno se ne lamentò, il prof. Corda non volle interrompermi, ma il suo intervento slittò al giorno dopo.

Recentemente c’è stato un seguito, di cui potete leggere qui:

https://www.propatriascherma.it/la-maschera-e-la-spada/

Vi ripropongo ora in italiano (a breve anche la versione in inglese) il testo e le immagini dell’articolo estratto dal libro: quello originale non lo trovo più.


 

La spada della mente … che mente

Guerra, duello, sport, spettacolo: evoluzione della spada e della scherma per il corpo, la mente, lo spirito. La scherma come relazione, e metafora della vita.

La spada senza la spada: l’essenza della scherma

 

Premessa

Ho conosciuto la scherma sportiva da adulto, ed è stato amore a prima vista. Praticavo judo, prima, e non ho perso interesse per le altre arti marziali. La scherma, prima praticata e poi studiata sistematicamente, mi ha dato, dal mio punto di vista, qualcosa in più. Dal mio punto di vista, perché riconosco la nobiltà e l’unicità di tutte le ricerche, e di tutte le persone. Quindi, quello che segue è un punto di vista del tutto personale. Quando studiavo per diventare maestro, un noto docente, non sapendo cosa rispondere ad una mia precisa domanda, mi disse: “Quando avrai fatto gli allievi che ho fatto io, allora capirai”. La risposta non mi piacque per nulla. So che alcune cose si comprendono, nel senso di farle proprie, solo con l’esperienza diretta. Ma so anche che alcune risposte sono solo comodi paraventi per nascondere ciò che non si sa, o non si capisce, o più semplicemente che non si è capaci di spiegare in modo migliore. Questo è un convegno dedicato alla spada, ma io parlerò di scherma, ritenendo di non andare fuori tema: la spada è il simbolo della scherma, e quella di un tempo era ben diversa da quella odierna, per forma, utilizzo e finalità. Ancora oggi, sui libri di testo per i maestri di scherma c’è scritto che gli elementi fondamentali della scherma sono tre: tempo, misura e velocità. Dopo questo importante enunciato, praticamente di essi non si parla più: solo tecnica.

Avendo iniziato tardi la pratica della scherma, a me non bastava più sapere ‘come’ si fa, volevo sapere anche ‘perché’. Fu così che scoprii che di molte cose insegnate il perché era stato dimenticato e perciò alcune erano ancora valide, mentre altre non lo erano più

È la storia del gatto da meditazione che ho voluto riportare nei testi sulla scherma. L’abate del monastero aveva una debolezza: amava molto la compagnia del suo gatto. Per anni lo portò con sé nella sala da meditazione, ma per non disturbare gli altri monaci, lo legava alla porta della sala, prima di iniziare a meditare. Poi l’abate morì, e il successore provvide a legare il gatto. Poi morì il gatto, e il nuovo abate ne comprò un altro.

Iniziai a cercare, quindi, e a trovare, finché non si affacciò alla mente la domanda: “Qual è l’essenza della scherma?” Non vi sembri una domanda oziosa, e vi prego di riflettere su questo: possiamo dire di un pugile, ad esempio, che fa una buona scherma con i suoi pugni, e gli facciamo un complimento. Ma non sarebbe altrettanto gradito, per uno schermidore, sentirsi dire che fa del buon pugilato, con la sua spada! Indagare sull’essenza non è un discorso ozioso: cambiano le mode, gli sport nascono e muoiono. Quelli che restano hanno da offrire qualcosa che resiste nel tempo: per i miti che portano con sé, e per le suggestioni che possono offrirci, verso un futuro che cambia sempre più velocemente. Ma non è questione solo di moda o di emozioni: lo sport ‘ufficiale’, in particolare quello olimpico, sopravvive o prospera solo se è interessante per gli sponsor. Il che vuol dire numeri e soldi. Bisogna avere un buon prodotto — la scherma lo è — e saperlo vendere.

In questo siamo meno bravi.

La scherma, considerando per ora solo i suoi aspetti tecnici, è cambiata nel tempo in rapporto alle armi utilizzate, com’è ovvio, e alle situazioni in cui è stata utilizzata.

Questo può essere meno evidente. Innanzitutto per scherma si intendeva un’arte marziale completa che comprendeva la lotta senz’armi e quella con ogni tipo di armi, a piedi o a cavallo. Le armi, offensive e difensive, erano di vario tipo e la loro potenza offensiva o difensiva (e talvolta le due cose insieme) è cresciuta nel tempo col progredire della tecnica. L’agricoltura, una volta affermatasi, ha favorito la specializzazione e sedi stabili, condizioni entrambe necessarie per un trattamento avanzato delle leghe metalliche. Un nomade, un cacciatore-raccoglitore, non può forgiare da sé le proprie armi, e una fonderia non si può facilmente spostare da un luogo all’altro. Un fabbro a tempo pieno, invece, può occuparsi in profondità della sua arte solo se sostenuto da una società che, in cambio dei prodotti del suo lavoro, gli fornisca quanto occorre per vivere.

Le armi in rame e bronzo erano meno resistenti di quelle in ferro, successive, e facilmente si piegavano. Le spade, in particolare, dovevano quindi essere corte e larghe, e usate prevalentemente di punta. Le armi in ferro, molto più dure, potevano essere usate in modo diverso: come i bastoni, indubbiamente usati in precedenza, ma capaci di tagliare. Gli scudi, gli elmi, le corazze, le armature, necessarie contro ogni tipo di arma, come frecce e lance, dovevano essere sempre più resistenti e pesanti. La tecnica per la battaglia contro più nemici, protetti e organizzati, doveva necessariamente essere diversa da quella, affermatasi successivamente, per il duello o la difesa personale. L’armatura aumenta la protezione ma limita la mobilità, in proporzione al peso e alle dimensioni. L’avvento della polvere da sparo ha segnato un fondamentale punto di svolta, vanificando l’importanza delle pesanti armature e portando, molto gradualmente, alla scomparsa della spada come arma da guerra. Sopravvive la sciabola, per un periodo più lungo, ma destinata a fare la stessa fine. Portare la spada al fianco resta la prerogativa del gentiluomo, e si sviluppa notevolmente l’uso del duello. La spada si alleggerisce, e questo permette giochi di punta sempre più stretti, complessi e precisi. La protezione completa della mano, quindi, si rende sempre più necessaria. Lo spadino è l’ultima arma da lato indossata dal gentiluomo, non militare. È questo, a mio parere, il vero progenitore delle moderne armi sportive e risulta essere ancora un’arma micidiale con punta e taglio. Un taglio che presto lo spadino perderà come del resto, per logica conseguenza, l’elsa. Nei trattati di scherma, che necessariamente descrivono le tecniche delle armi del loro tempo, aumenta l’esigenza di una classificazione compatta e razionale delle azioni schermistiche. Si passa dalle numerose e immaginifiche “guardie” della scherma medioevale alle quattro moderne; dalla scherma di spada e pugnale all’asserito vantaggio della “spada sola”.

Il linguaggio segue e trasmette usi e costumi attraverso i tempi: venire alle mani, o ai ferri corti, mettere le mani avanti; non conoscere la mezza misura; imbroccare, farlo apposta; spezzare una lancia a favore di qualcuno o partire lancia in resta; e poi attaccare, afferrare, cavarsela; per non parlare di saluti e bottoni…

Ma la più grande rivoluzione nell’arte marziale che si trasforma in sport e indubbiamente il venir meno della paura della morte. Restano le emozioni sostitutive, ma niente di paragonabile: ci si muove con maggior libertà e velocità, si rischia di più, potendo morire quattordici volte, o più, e vincere l’assalto. Il colpo delle due vedove (1) è diventato solo un triste ricordo.

Si possono inventare e tentare colpi nuovi e i nuovi materiali permettono la nascita di tanti Dick Fosbury (2) della scherma, prima impensabili.

In passato il guerriero doveva confrontarsi quotidianamente con l’idea della morte. Solo dopo averla pienamente accettata, come destino inevitabile e persino onorevole, in battaglia, si poteva andare allo scontro con la mente libera, e la massima determinazione. Oggi è la psicologia dello sport che rivendica il ruolo un tempo svolto dalla meditazione e dalla veglia d’armi.

Nei trattati di scherma l’attenzione è posta sulla descrizione delle azioni e più recentemente sulla loro classificazione. Pur dichiarando che sono importantissime la velocità la scelta di tempo e la misura, gli autori dedicano la maggior parte delle pagine alla descrizione delle singole azioni. Si trascura il fatto che fra i due antagonisti in pedana si instaura un dialogo, fatto di atteggiamenti e finte, di movimenti e reazioni, di iniziativa e controllo, strettamente condizionati dal tempo e dalla misura, legati insieme in quello che potremmo definire il ritmo delle varie azioni. (3)

Non si può non comunicare —questo è vero anche e soprattutto per un conflitto— in un assalto di scherma in cui passano dall’uno all’altro e viceversa, informazioni vere, date non volontariamente, e informazioni false, date per fuorviare l’avversario così da fargli prendere decisioni sbagliate.

È questo il campo della tattica, che può essere definita come l’arte di indurre con l’inganno l’avversario ad agire in modo per lui svantaggioso, facendogli invece credere che ne avrà vantaggio, per trarne profitto. Nella scherma, questo si chiama agire di seconda intenzione.

Nella scherma si agisce o si reagisce, si prende l’iniziativa o la si subisce. In entrambi i casi si controlla: vale a dire si cerca di mantenere o trovare la misura, la distanza con l’avversario, entro i limiti di spazio e di tempo necessari per la riuscita dell’azione programmata. Ci si adegua al ritmo dell’altro o si cerca di imporre il proprio, per creare una situazione di armonia, di sincronismo, che ci permetta di romperlo, al momento voluto, con precisione ed efficacia. In ogni azione motoria complessa il feedback è di vitale importanza. Nella scherma l’informazione di ritorno non viene da un ambiente stabile o comunque indifferente alle nostre azioni ma da un avversario attivamente impegnato a contrastarle. La stessa cosa, contemporaneamente, avviene per lui.

L’informazione che passa dall’uno all’altro, voluta e quindi ingannevole, o non voluta, e quindi vera, determina la presa di decisione dell’altro in un tempo molto breve che si avvicina al tempo di reazione semplice: un tempo intorno ai due decimi di secondo, o poco meno, comunque troppo lungo per la riuscita delle azioni schermistiche. Si pensi, ad esempio, al colpo doppio di spada, attivamente ricercato da chi è in vantaggio, che è circa un quarto del tempo di reazione. La capacità di anticipazione, o scelta di tempo, ci permette di eseguire l’azione voluta nel tempo esatto richiesto, con un margine di errore minimo, intorno allo zero e con un errore temporale positivo o negativo comunque molto più piccolo del tempo di reazione. Lo schermidore deve essere assolutamente “qui e ora” per essere efficace ad alto livello, e questo richiede un notevole controllo mentale ed emozionale. Il controllo della mente è quindi essenziale, nella scherma.

 

Per diventare bravi schermidori devono crescere, insieme, varie abilità: quelle fisiche, quelle tecniche (oggetto principale dei trattati), quelle tattiche e quelle più specificamente mentali o morali. L’indagine negli ultimi due campi porta inevitabilmente a doversi occupare del ‘nemico’ interno: a conoscere se stessi, ad accettarsi, a superare i propri limiti.

L’importanza preponderante della tattica (programmazione dell’avversario), rispetto alla strategia (programmazione delle proprie azioni), rende la scherma uno sport davvero speciale. L’eliminazione della paura della morte, poi, ha reso lo schermidore più libero di cercare e trovare soluzioni innovative, un tempo troppo rischiose per essere sperimentate. Ne è derivato uno sport privo di categorie di peso, con atleti capaci di esprimersi ad altissimo livello malgrado nettissime differenze sul piano fisico: il piccolo può battere il grande se fa un migliore uso della sua intelligenza. La semplificazione di alcuni aspetti (movimenti lungo una linea, uso di una sola mano, bersagli limitati, armi sicure) e la ‘via di mezzo’ dal punto di vista emozionale (tra il pugilato, ad esempio, e il tennis) permette di indagare e vedere con maggior facilità aspetti meno evidenti in altre discipline di combattimento.

Perché, dunque, la scherma ‘prende’ con tanta efficacia chi la pratica e dove affonda le sue radici, dov’è la sua essenza, dal punto di vista biologico, comportamentale, evolutivo?

Il primo aspetto, comune a tutti gli altri sport di competizione può essere individuato in quello che gli etologi chiamano ‘l’ordine di beccata’. L’ordine gerarchico in un gruppo si può constatare osservando chi mangia per primo e chi per ultimo. In caso di penuria di cibo, gli ultimi moriranno, e i primi sopravvivranno, trasmettendo il loro patrimonio genetico. Tutti gli animali sociali, noi compresi, sono il frutto di una lunghissima evoluzione durante la quale avanzare o retrocedere nella scala gerarchica del gruppo poteva avere un’importanza vitale. Forse è per questo che competere —e quindi lo sport— ci piace tanto. Ma un altro aspetto, più sottile, è forse quello più importante per comprendere l’essenza della scherma. Può sembrare strano, e contraddittorio, che si siano sviluppati e trasmessi anche comportamenti cooperativi, altruistici che comportano apparentemente uno svantaggio per chi li mette in atto a favore di un altro. Il vantaggio è evidente per la coesione del gruppo ma non per il singolo individuo. La cosa cambia aspetto, però, se il possibile vantaggio viene proiettato nel futuro. Se oggi cedo qualcosa per aiutare un mio simile, posso aspettarmi che lui faccia lo stesso quando, in futuro, dovesse capitare a me di essere in difficoltà. Questa considerazione porta immediatamente a due conseguenze: devo sviluppare la capacità di comprendere l’intenzione dell’altro di ricambiare, e contemporaneamente imparare a difendermi dai comportamenti parassiti che inevitabilmente si svilupperanno.

Questa capacità di mettersi dal punto di vista dell’altro, di leggerne la mente, di sapere cosa pensa, oggi è ampiamente dimostrata dallo studio dei “neuroni specchio”, recente e importantissima scoperta. Ma se l’altro può intuire, vedendo i miei comportamenti, cosa penso e cosa sento, io posso anche simulare azioni e comportamenti, per indurlo a decisioni sbagliate. Incominciate a vedere il rapporto con la tattica, e la scherma? Mentire ha una connotazione negativa, ma solo per esigenze sociali. In realtà accogliamo ed apprezziamo molto la capacità di mentire, purché su basi condivise. Gli attori recitano, i prestigiatori ci raggirano, le donne e gli uomini si truccano in infiniti modi e i ricercatori ci dicono, con una stima al ribasso, che la comunicazione è menzognera almeno per il 70%. Vi faccio grazia della politica, o dei rapporti fra i sessi, e altri campi ancora…

La scherma, che ha il suo punto di forza nella tattica, che è inganno, è un gioco (oggi), o un’arte, che poggia su regole condivise. Al di fuori di quelle, l’inganno è riprovevole, disonorevole, non cavalleresco. All’interno di quelle, è arte, decisamente apprezzata. Ma non basta. La comprensione razionale di questi meccanismi, pur necessaria, è troppo lenta per le velocità richieste dalla scherma. Anzi, è di ostacolo. Per la massima efficacia, la mente deve poter operare ad una velocità raggiungibile solo con automatismi molto evoluti, con intuizioni seguite immediatamente dalle azioni corrette. La mente razionale, a questo punto, diventa quasi un ostacolo. Deve funzionare quando c’è il tempo di pensare (fuori misura) e tacere quando l’avversario è vicino (in misura).

Ed eccoci tornati alle tecniche antiche e sempre attuali che pongono l’uomo di fronte a se stesso, ai suoi pensieri, alle sue paure, al suo respiro, al suo essere. Di nuovo, oggi, vi sono schermidori che ricorrono a pratiche antiche come la meditazione, per raggiungere il silenzio mentale necessario per essere ‘uno’ con l’arma e con l’avversario. La scherma. La nobiltà di questo nostro sport viene dal passato, ma solo comprendendola e valorizzandola può resistere alle mode, e proiettarsi nel futuro.

La scherma non è solo uno sport: è nella nostra natura. Dobbiamo continuare a studiarla, a proteggerla, ad amarla.

Giancarlo Toran

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(1) Per “colpo delle due vedove” si intende quello che in scherma sportiva è, nella disciplina della spada, il colpo doppio: con la segnalazione elettronica delle stoccate, l’intervallo utile perché sia registrato è di circa la metà di un decimo di secondo. In duello, poiché inflitto in contemporanea, il colpo doppio poteva essere mortale per entrambi i contendenti con l’esito, appunto, di rendere due donne vedove nello stesso momento.

(2) Dick Fosbury è stato campione olimpico di salto in alto a Città del Messico nel 1968 grazie a una tecnica di salto da lui inventata (Fosbury flop o salto dorsale) che, ora utilizzata da tutti, a quei tempi risultò assolutamente rivoluzionaria.

(3) Le immagini che seguono sono state tratte da Toràn 1998.

 

BIBLIOGRAFIA

Agrippa C. (1553), Trattato di scientia d’arme, con un dialogo di filosofia di Camillo Agrippa milanese, in Roma: per Antonio Blado stampadore apostolico.

Girotto V., Pievani T. & Vallortigara G. (2008), Nati per credere: perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin, Codice: Torino

Toràn G. (1996), Introduzione alla tattica schermistica, Società Stampa Sportiva: Roma.

Toràn G. (1998), Considerazioni per formulare un modello di prestazione della scherma moderna. Atti del Convegno di studi. Il modello di prestazione della scherma moderna, tenutosi presso la Casa di cura S. Maria di Castellanza, il 16 maggio 1998, con i patrocini del Comitato regionale della Federazione italiana scherma e dell’ISEF della Lombardia, a cura di Giulio Sergio Roi et alii, FIS AIMS.

 

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