Scherma e Karate, punti d’incontro

a cura di Giancarlo Toràn

Scherma e Karate, arti marziali e sport di combattimento: per quanto differenti, come origine e come espressione, hanno molto in comune, che condividono anche con altre arti marziali.

Stimolato a parlarne in un webinar dagli amici del Karate, ho affrontato con piacere il compito, e la sfida.

Non è facile entrare in casa d’altri a fare confronti e paralleli, senza dire sciocchezze superficiali, o urtare suscettibilità: ma l’occasione per un reciproco arricchimento era troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire.

E così mi sono avventurato, e i riscontri mi sono sembrati molto positivi.

Fra tutti, questo articolo di Francesco Marchi, di cui trovate una nota biografica in fondo al testo.

Le immagini sono tratte dallo stesso articolo, tranne quella di copertina, realizzata da Copilot, l’I.A. di Bing, Microsoft.

Seminario 28 gennaio 2024 – Scherma e Karate, punti d’incontro
Relatore Giancarlo Toran – Articolo di Francesco Marchi

Fin dall’antichità, pressoché ogni società e cultura umana ha ricercato un costante perfezionamento delle proprie arti e tecniche militari e guerriere. Che fosse con le armi, con strumenti agricoli o artigiani, o con le mani nude, in luoghi e periodi storici anche molto lontani, il desiderio di difendersi, confrontarsi e prevalere su un nemico o un aggressore ha accomunato gli uomini nello sforzo di sviluppare tecnologie e sistemi bellici sempre migliori e aggiornati.

Il contesto storico in cui tali “arti” erano richieste per difendere la vita propria o altrui è fortunatamente venuto meno per molte società e culture. Ma il desiderio individuale di superarsi, migliorarsi e misurare i propri progressi tramite il confronto con l’altro non è altrettanto decaduto ed è oggi più forte e diffuso che mai. La storia recente ha infatti declinato questa ricerca di perfezionamento in una versione più sicura, ritualizzata e codificata. Una dimensione sportiva, che permette il progresso individuale ed il confronto con l’avversario in una forma altamente regolamentata che ne tutela i partecipanti.

L’Italia e il Giappone non fanno eccezione. Sono anzi oggi detentori di un ricco e secolare patrimonio di conoscenze e tecniche marziali che si sono pian piano evolute in discipline sportive di confronto e combattimento praticate ed amate da migliaia di persone di ogni età.

Questa breve riflessione ci lascia intuire uno degli aspetti più importanti che accomunano discipline apparentemente molto diverse come il karate giapponese e la scherma, di tradizione italiana. Un punto d’incontro per stimolare ricerche e discussioni approfondite.

È con questo intento che il comitato scientifico Fikta (Federazione Italiana Karate Tradizionale e discipline Affini) ha organizzato il 28 gennaio 2024 un webinar con il maestro Giancarlo Toran, grande agonista e maestro di scherma, autore di numerosi libri e articoli, custode della memoria storica della scherma italiana, e responsabile del Museo della Scherma di Busto Arsizio. Il titolo del seminario, “Scherma e Karate, punti d’incontro”, sottolinea immediatamente lo spirito di questa iniziativa.

In completa sintonia con l’approccio interdisciplinare che ha motivato questo incontro, Toran esordisce ribadendo quanto nel suo percorso sia stato importante mantenere un atteggiamento di apertura verso ogni forma di conoscenza, includendo le arti marziali orientali, che lo potesse aiutare a comprendere più a fondo la sua disciplina. Come esempio concreto di questo interesse cita il testo “lo Zen e la via del Karate” di Kenji Tokitsu, nel quale riferisce di aver trovato spunti interessanti, soprattutto grazie ai molti riferimenti tecnici e terminologici che l’autore fa verso la scherma giapponese. Parla di “tempo”, “velocità” e “misura”, che seppur presentati con un linguaggio e un approccio diversi, sono concetti fondamentali che accomunano la scherma occidentale, quella giapponese e il karate. Studiare ed approfondire le similitudini e differenze in questi concetti tra oriente ed occidente, dice Toran, costringe a rimettere in discussione le proprie conoscenze e perciò stimola una comprensione di essi più completa e approfondita, rendendo l’approccio basato su un confronto interdisciplinare, che ha motivato questo incontro, assolutamente fruttuoso, specialmente in una società che ormai tende a rendere le persone sempre più specializzate in un solo campo.

Riguardo a quest’ultimo aspetto, Toran ci ricorda come i guerrieri dell’antichità dovessero essere addestrati nell’uso di molteplici armi e anche nella difesa a mani nude. Queste abilità, seppur talvolta non codificate in sistemi ben definiti come la scherma o il karate moderni, costituivano un repertorio di conoscenze completo di cui il guerriero non poteva fare a meno.

Nel corso della storia, specialmente con l’introduzione delle armi da fuoco, l’arma bianca diviene sempre più obsoleta, la spada assume un ruolo simbolico, la sua conformazione cambia e la sua destinazione d’uso non è più quella prettamente bellica, ma piuttosto quella di duello, ovvero un confronto diretto tra due contendenti, altamente ritualizzato e regolamentato. È in questo contesto che la scherma occidentale moderna affonda le proprie radici, quando la possibilità di portare la spada e servirsene diviene appannaggio esclusivo di nobili prima e, successivamente, gentiluomini.

Qui il maestro sottolinea una importante differenza tra scherma moderna e karate, quella dello spazio di movimento. Mentre nel karate la possibilità di muoversi in uno spazio sostanzialmente libero, anche se delimitato, è stata mantenuta, nella scherma la “Lizza”, una recinzione al cui interno i contendenti potevano muoversi liberamente, è stata abbandonata in favore di uno spazio altamente circoscritto, che poi si trasforma nella pedana longitudinale che caratterizza l’odierna scherma sportiva. Questo cambiamento dipende storicamente dalla necessità di cercare, quando possibile, di evitare un esito fatale del duello, tramite il tempestivo intervento dei padrini e del maestro di scontro, difficile da effettuare in un campo aperto e circolare. Anche se si cercava di evitare il peggio, di fronte a una punta di spada affilata bastava poco per passare da un graffio a una ferita mortale, da cui l’esigenza di una regolamentazione ferrea del confronto tra duellanti.

A questo punto il maestro Toran offre una riflessione su un punto in comune tra scherma e Karate, ovvero sui limiti e compromessi che ogni disciplina marziale che aspiri a mantenere un legame con la propria tradizione storica deve accettare nel trasformarsi in disciplina sportiva. Tra questi limiti e compromessi figura primariamente la rimozione della paura di venire gravemente feriti o di perdere la propria vita, che può cambiare profondamente il modo di combattere in quanto azioni rischiose, che prima nessuno avrebbe compiuto, diventano accettabili. Inoltre, la vittoria e la sconfitta non è più affidata solo al contendente ed al suo strumento, sia esso una spada o una parte del corpo, ma al giudizio di arbitri esterni o strumenti di misurazione.

Anche il largamente impiegato sistema a punteggio allontana la disciplina sportiva dalla sua originaria dimensione marziale in quanto un punto è un punto che venga colpito il braccio o la testa, mentre in un duello o su un campo di battaglia vi sarebbe una differenza sostanziale. Infine, nella scherma come nel karate, sono state introdotte tecnologie protettive e regole, come il controllo (assenza di contatto), che limitano certi tipi di colpi per minimizzare il potenziale pericolo in un confronto sportivo e tutelare al massimo i partecipanti. Questo è ovviamente e giustamente imprescindibile in una disciplina sportiva moderna rivolta anche a diverse fasce di età, ma è altrettanto ovvio che la dimensione marziale originaria di queste discipline si basava un approccio opposto.

Il maestro offre poi una breve ma ricca sinopsi sulla storia della scherma tra duello e sport, la nascita della federazione internazionale, la differenziazione tra spada e fioretto (o spada da sala), l’introduzione delle protezioni e della convenzione di dover parare e rispondere ad un attacco per evitare il cosiddetto “colpo delle due vedove” nel quale entrambi i contendenti attaccano e si feriscono contemporaneamente. Questa breve escursione storica serve ancora a far capire quanto profondo sia il distacco tra una scherma in fase di evoluzione verso lo sport e l’arte di combattere e duellare con spade affilate e punte acuminate. Ad esempio, nella scherma sportiva moderna, almeno nella specialità di spada, il contendente in vantaggio di punti potrebbe tendere a cercare il colpo doppio (delle due vedove) in quanto tanti colpi doppi manterrebbero il vantaggio e porterebbero da ultimo alla vittoria, cosa impensabile per un duellante.

A questo punto Toran sposta l’attenzione su cosa è stato mantenuto della dimensione marziale originaria anche nella disciplina sportiva, tanto per la scherma quanto per il karate, ovvero gli elementi tecnici che portano a padroneggiare le fondamentali caratteristiche di “tempo”, “velocità” e “misura”. Seppur con la sicurezza offerta da protezioni e controllo lo schermidore così come il karateka, devono essere in grado di colpire un bersaglio in movimento nel tempo adeguato e con la giusta misura, il che impone una grande padronanza della propria velocità sia di spostamento che di colpo, e comprensione di quella dell’avversario. Tale padronanza è fondamentale tanto per l’atleta di oggi quanto per il guerriero o duellante di ieri ed è forse l’aspetto più importante che la moderna declinazione sportiva di queste discipline ha mantenuto ed aiuta ad allenare e sviluppare in sicurezza.

Un altro elemento che accomuna scherma e karate moderni è quello di una precisa etichetta comportamentale prima, durante dopo il confronto. Dal saluto iniziale e finale alla sanzione di comportamenti sleali o violenti che potrebbero mettere in pericolo entrambi i contendenti, il rispetto per l’avversario, sia esso un compagno di allenamento o un rivale in gara, è imprescindibile in entrambe le discipline. Per quanto riguarda la scherma, spiega Toran, questo attaccamento all’etichetta e ad un certo tipo di comportamento affonda le proprie radici in quello che costituiva lo scopo principale del duello tra gentiluomini. Questo non era tanto il ferire o vincere, quanto avere il coraggio di scendere in campo, rischiando potenzialmente anche la vita, per dimostrare di appartenere ad una élite sociale i cui membri riconoscevano mutualmente il valore e l’onore l’uno dell’altro.

Toran si dimostra sempre disponibile a soddisfare le numerose curiosità e domande dei partecipanti. In risposta ad una di esse, il maestro prosegue esaminando una peculiarità della scherma sportiva che la differenzia dal karate per quanto riguarda l’arbitraggio e l’assegnazione di punti, ovvero l’uso della segnalazione elettrica. La possibilità di disporre di una tecnologia che permette di registrare in maniera insindacabile la materialità di un colpo, ovvero il suo essere conforme a certi requisiti di potenza, velocità e bersaglio, costituisce un indiscutibile vantaggio, che può facilitare l’arduo compito dell’arbitro, il quale ha comunque il dovere di valutare se l’azione che porta all’ espressione di tale colpo è conforme alle regole della specialità schermistica in questione.

Un’altra domanda porta il maestro a trattare una questione cruciale per molti praticanti di karate, ovvero la questione della tradizione, e di come essa si possa o debba identificare e mantenere. Toran con grande lucidità riporta allora l’esempio di appassionati di scherma che studiano con grande attenzione i testi storici classici per capire e approfondire le tecniche di spada che venivano praticate nei secoli passati. Il problema per chi volesse mantenere la tradizione in questo modo, dice Toran, è che, se si vuole trasferire questa conoscenza da un piano puramente accademico ad uno applicativo, è indispensabile introdurre le tecniche in una dimensione di confronto con un avversario, condizione imprescindibile per la pratica e il perfezionamento dei tre requisiti di “tempo”, “misura” e “velocità”. Ciò non può, al giorno d’oggi prescindere dall’impiego di precise norme di tutela e sicurezza, le quali vengono garantite solo dalla pratica sportiva. Ecco allora che gli odierni promotori di una scherma più tradizionale si trovano ad affrontare gli stessi problemi che hanno condotto alla codificazione della scherma sportiva che conosciamo oggi.

Dove tracciare la linea tra tradizione e compromesso, in un periodo storico che giustamente proibisce situazioni di reale applicazione dell’arte marziale, come il duello o la battaglia, in cui la scherma antica trovava il suo campo di espressione, diventa allora un compito molto arduo. Una riflessione molto simile si applica anche al karate, dove si vuole ad esempio mantenere la mano nuda o comunque un livello minimo di protezione e ciò porta necessariamente all’introduzione di metodi, come quello del controllo, che non permettono di testare direttamente l’efficacia e la potenza di un colpo sull’avversario. Tuttavia, grazie alle condizioni di sicurezza imposte dalla regolamentazione sportiva, uno schermidore può permettersi di effettuare i propri colpi alla massima velocità e potenza possibili per lui. Nel karate, al contrario, il controllo vincola l’atleta a trovare un necessario compromesso tra velocità e potenza per ottenere il punto ed evitare gravi incidenti.

Un’altra interessante differenza tra scherma e karate è che l’apprendimento tecnico della scherma procede prevalentemente attraverso lezioni individuali (che iniziano già verso gli 8 o 9 anni di età), dove il maestro prende un singolo allievo al quale “dà il ferro”, ovvero propone azioni e si lascia toccare anche centinaia di volte in una singola lezione con un preciso scopo didattico. Ciò non avviene nel karate dove la lezione è tipicamente collettiva.

Il maestro mostra poi un interessante carrellata di immagini tratte da testi storici che testimoniano come la scherma fosse solo una delle competenze del guerriero antico, l’uso dello scudo e del pugnale, la competenza nel cavalcare, la tradizione dei monaci guerrieri occidentali, l’afferrare la spada per la lama al fine di colpire con l’elsa, il colpire l’avversario armato con tecniche di calcio e di pugno, o anche di lotta. Questa diversificazione di competenze è ampiamente rappresentata nei testi classici della scherma e testimonia quanto variegato e completo fosse il bagaglio di conoscenze e abilità marziali richiesto e posseduto dai guerrieri del passato. Il che induce una riflessione sulla definizione di scherma come “arte e scienza delle contrarie”. Questa arte si può sintetizzare come la capacità di capire le azioni dell’avversario, acquisire una padronanza della tattica e selezionare le risposte appropriate. Secondo questa ampia definizione si può fare scherma con la spada, ma anche con un pugnale o un bastone, a cavallo e a piedi, quando si fa pugilato o karate, e anche quando si entra in una accesa discussione verbale.

Toran procede elencando quello che rappresenta uno dei suoi maggiori interessi e contributi in ambito schermistico, ovvero l’approfondimento e la comprensione dei già citati elementi fondamentali di “tempo”, “velocità” e “misura”, i quali costituiscono il fondamento di ogni sport di combattimento e disciplina marziale, e sono perciò di massimo interesse anche per i praticanti di karate. A questo proposito, l’indagine del maestro ha abbracciato un ampio spettro di testi classici orientali e occidentali di strategia e tattica, da Clausewitz fino a Sun Tzu e Musashi. Questa esplorazione, unita alla sua esperienza, lo hanno portato a comprendere come “tempo”, “velocita” e “misura”, in discipline come la scherma o il karate, che prevedono un avversario che si oppone e tenta di contrastare o vanificare le nostre azioni, non dipendano solo dall’iniziativa personale, ma siano intimamente legati anche al comportamento dell’altro. Ecco allora che lo schermidore, così come il karateka, devono preoccuparsi non solo dell’informazione che ricevono dal proprio corpo, ma anche di quella che ricevono e trasmettono all’avversario. È qui che entra in gioco la tattica, l’arte delle finte e dell’inganno, della simulazione e dissimulazione, per portare l’avversario dove potrà essere colpito nel giusto tempo e alla giusta misura, vanificando i suoi sforzi per impedirlo.

Si spiega, ad esempio, come e perché, all’ inizio di un incontro la “misura”, ovvero la distanza tra i due avversari, sarà ampia. Questo permette ai contendenti di studiarsi e capire le reciproche capacità potendo reagire in “tempo” ad un eventuale assalto. Il primo scontro è dunque sul piano della “misura”, ogni contendente cercherà di mantenere la distanza a lui congeniale, e allo stesso tempo, mediante la tattica, impedire all’altro di fare lo stesso, finché uno dei due si troverà idealmente fuori “misura” e l’altro potrà allora iniziare il proprio assalto in condizioni ottimali. Ma in un incontro, a un contendente non basta ottenere la “misura” a lui più congeniale. È anche necessario entrare in questa “misura” in “tempo”, ovvero al momento opportuno. Questo normalmente non può essere il momento del riconoscimento e risposta ad uno stimolo, che soffre del ritardo dovuto ai tempi di reazione fisiologici, ma piuttosto un brevissimo istante frutto di una “previsione” resa possibile dalla comprensione del ritmo di un’azioneIn questo delicato equilibrio tra movimenti propri e altrui l’attenzione deve essere altamente specializzata ed il pensiero cosciente non deve interferire.

Il maestro cita allora il “Libro dei Cinque Anelli” di Miyamoto Musashi, grande Samurai e pilastro della tradizione marziale orientale, tra storia e leggenda. Toran spiega come l’approccio scientifico occidentale ci permetta di comprendere meglio le suggestive parole del Samurai, quando parla di “percepire e intuire anziché guardare”, “capire la tattica dell’avversario senza farsi distrarre dai movimenti insignificanti della lama”, “vedere le cose lontane come fossero vicine e le vicine come fossero lontane”. Toran spiega come la sensibilità di un grande maestro come Musashi lo avesse portato a comprendere intuitivamente, ed esprimere tramite evocative metafore, i fenomeni attentivi cruciali per il combattimento, che oggi possiamo spiegare e misurare.

A questo proposito Toran cita il suo articolo “Dove guardare, come guardare” nel quale approfondisce aspetti fisiologici e neurologici della visione e spiega come, al pari della tecnica e della componente atletica, anche l’attenzione dello schermidore debba essere educata ed addestrata a distribuirsi sugli opportuni stimoli e luoghi del campo visivo, senza focalizzarsi inutilmente e troppo a lungo, filtrando le distrazioni e i tranelli che l’avversario gli sottopone. È facile capire da un lato come questa ricerca si applichi direttamente anche al praticante di karate (così come ad ogni altro sport di combattimento), e dall’altro quale sia la sua immensa importanza, in quanto essa ci permette di sviluppare metodi di allentamento specifici, che non si possono estrapolare facilmente dalle suggestive parole di un testo classico. Studiando la distinzione tra visione periferica e centrale, tra attenzione coperta (covert) e aperta (overt) e tra vie di elaborazione dell’informazione visiva rapide (magnocellulari) e lente (parvocellulari), il maestro Toran ha sviluppato e applicato con successo metodi di allenamento che hanno beneficiato gli atleti che li hanno impiegati.

Arriviamo allora al concetto fondamentale di “velocità” che non è, dunque, solo la velocità di movimento o di esecuzione di un’azione, ma anche la velocità di percezione e riconoscimento di uno stimolo o situazione, la quale può essere ottimizzata imparando a distribuire l’attenzione in modo appropriato. Il contendente non deve quindi solo stare attento agli stimoli rilevanti che segnalano le azioni e le intenzioni dell’avversario, ma anche a minimizzare, mascherare ed oscurare quegli stimoli che segnalano le proprie azioni ed intenzioni.

Toran sottolinea a questo punto come la distinzione tra “tempo”, “velocità” e “misura”, sia un artificio che permette di analizzare meglio questi elementi fondamentali. Nella realtà però questi tre elementi fanno parte di un fenomeno complesso e unitario e non si possono mai considerare in isolamento l’uno dall’altro, in quanto sono interdipendenti. L’opportuno esercizio dell’attenzione è fondamentale per padroneggiare questo fenomeno e Toran ammette di apprezzare molto il sistematico esercizio ed addestramento di respirazione e concentrazione tipico delle discipline orientali, incluso ovviamente il karate, che definisce elegantemente come “meditazione in movimento”. Trova preziosa anche la loro ricerca di un progresso personale oltre ad una realizzazione agonistica. Si rammarica che questi aspetti siano pressoché assenti in molti sport moderni inclusa la scherma, in cui sono affidati alla sensibilità del singolo e non fanno parte di un percorso strutturato.

Il maestro conclude il webinar con una riflessione sul rapporto con gli allievi. Mentre un tempo si cercava di portare gli allievi a conformarsi ad un sistema ben preciso e codificato, oggi si tende invece a valorizzarne le caratteristiche individuali, permettendo a taluni di specializzarsi in certi tipi di azioni offensive e difensive e ad altri di mantenere un bagaglio di azioni più ampio secondo le esigenze e le predisposizioni del singolo. Questo fa sì che, pur attraverso molteplici cambi di regolamenti e tecnologie, gli atleti trovino a volte soluzioni geniali a problemi che prima semplicemente non esistevano.

Ci sembra a questo punto doveroso sottolineare come un intervento così ricco di informazioni tecniche, scientifiche e storiche, frutto di una vita di dedizione e ricerca, costituisca una fonte di profondo arricchimento che va ben oltre l’interesse individuale verso la scherma o il karate. L’apertura del maestro Toran verso conoscenze anche molto distanti dal suo ambito di specializzazione, la sua familiarità con tradizioni e testi distanti nel tempo e nello spazio, e la sua capacità di estrapolare dalla specificità della sua disciplina concetti e nozioni fondamentali per ogni sport di combattimento o confronto tra due avversari, ha reso questa iniziativa interdisciplinare un patrimonio inestimabile per chi vi ha partecipato o ne voglia ancora usufruire tramite la breve sintesi qui offerta. Crediamo che ciò che emerge da quanto qui riportato sia la chiara e innegabile realizzazione di come iniziative come questa possano contribuire al reciproco progresso sviluppo delle discipline e delle organizzazioni coinvolte e ci auspichiamo dunque che tali iniziative vengano adeguatamente valorizzate, mantenute, promosse ed ampliate in futuro.

Video estratto seminario online
https://fikta.it/2024/02/02/seminario-fikta-online-28-gennaio-2024/

Biografia Francesco Marchi
Si laurea in Filosofia presso l’Università degli studi di Siena. Dopo un master in Linguistica e Scienze Cognitive ottenuto ancora a Siena, consegue il dottorato di ricerca in Filosofia della Mente presso la Ruhr Universität Bochum in Germania. Da allora lavora come ricercatore a contratto presso le università di Bochum e Anversa. I suoi interessi di ricerca primari sono le distinzioni e interazioni tra percezione e cognizione, i fenomeni attentivi, l’autoinganno e lo studio dei meccanismi di formazione e mantenimento di credenze e convinzioni. Componente della Commissione Scientifica Fikta. Pratica KarateDo Tradizionale dal 1996.

 

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